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Un problema costante nella crescente industria della canapa destinata alla produzione di CBD è il rischio di ritrovarsi con un raccolto illegale a causa di un improvviso aumento del contenuto di THC che rende l’intera produzione inutilizzabile dal punto di vista normativo. Ora, ricercatori dell’Università di Cornell hanno scoperto che, contrariamente a quanto si credeva, la propensione delle piante di canapa a ‘riscaldarsi’ (aumentare eccessivamente il proprio contenuto di THC) è determinata geneticamente e non dipende dalle condizioni di coltivazione né dallo stress.

L’ibridazione genetica come causa più probabile

I ricercatori sono dunque convinti che il fattore che più contribuisce al problema del ‘riscaldamento’ è la genetica utilizzata dagli agricoltori, che nella loro lotta per coltivare piante a basso contenuto di THC si trovano ad affrontare due problemi fondamentali:

– Da una parte, molte delle varietà di canapa coltivate da questi agricoltori sono ibridi di piante create per massimizzare il contenuto di THC o di CBD. “Quando si coltivano queste piante, è estremamente probabile che producano tra l’1% e il 6% di THC, qualunque siano le condizioni ambientali”, affermano.

– D’altra parte, durante il processo metabolico di conversione dei cannabinoidi, l’enzima che produce il CBD sintetizza anche piccole quantità di THC. Questa correlazione fa sì che le piante che contengono livelli di THC inferiori allo 0,3% spesso producano quantità di CBD intorno al 2-5%, una cifra insufficiente dal punto di vista commerciale e lontana dal più redditizio 10% a cui puntano la maggior parte dei coltivatori, che determinati a massimizzare il contenuto di CBD delle loro varietà, si ritrovano spesso con piante che superano il limite legale di THC, fissato intorno allo 0,6%.

Ma sapere che la causa è genetica è incredibilmente rassicurante. Secondo le spiegazioni fornite dai ricercatori, i test genetici si possono effettuare già nella fase di piantina, riducendo drasticamente l’impatto economico che comporta il dover coltivare fino a maturità piante ad alto contenuto di THC. E queste prove potrebbero aprire la strada a test più semplici, più economi e più affidabili, basati su marcatori genetici facili da utilizzare.

Senz’altro, un’ottima notizia per i produttori di canapa, che, a causa dell’impredivilità genetica della pianta, devono fare i conti con un’industria meno redditizia e a più alto rischio di quanto inizialmente sperato. Ma quando l’aspetto genetico del problema sarà risolto su vasta scala, il settore avrà finalmente la possibilità di diventare più profittevole.

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